SI SPEGNE IL SOLE DI MACRON

Il 7 maggio 2017 Emmanuel Macron ha vinto, con più del 66% dei voti, il secondo turno delle elezioni presidenziali. In serata si presentò davanti ai suoi sostenitori nel Cortile quadrato del Louvre, a Parigi. Lo attraversò solo, con passo solenne, sulle note dell'Inno alla gioia di Beethoven, sullo sfondo della piramide in vetro voluta da François Mitterrand per inserire un elemento di modernità nell'antico Palazzo reale, teatro di tanti eventi storici. Macron ha voluto dimostrare come l'unzione del suffragio universale lo avesse elevato al rango di presidente della Repubblica nel solco della continuità storica, affermando al tempo stesso il suo desiderio di modernizzarla in una prospettiva europea. Riformare la Francia, liberare le sue energie, consentire a ciascuno di realizzare le proprie ambizioni, proteggere i più deboli, e « al tempo stesso » — formula questa essenziale del macronismo — rilanciare l'Europa: il progetto che ha concepito per la Francia è indissolubilmente legato al suo progetto europeo.

A che punto siamo, a distanza di un anno? Macron ha fatto adottare a passo di carica un numero impressionante di riforme in numerosi settori: il mercato del lavoro, la scuola, il fisco, l'immigrazione e il diritto d'asilo, le istituzioni, le ferrovie nazionali, le pensioni; altre sono in programma. La loro portata è ancora difficile da valutare. Comunque sia, la crescita riprende, la disoccupazione diminuisce, sia pure di poco, il deficit si riduce; d'altra parte, l'indebitamento continua a crescere e i prelievi obbligatori aumentano per le classi medie. Gli effetti di rilancio della presidenza Macron si misurano più facilmente in campo politico. Ha ridato lustro alla funzione presidenziale, rispondendo così al bisogno di autorità della maggioranza dei francesi. La vittoria del suo movimento, La République en Marche ( Lrm) alle legislative ha fatto esplodere il dispositivo delle forze politiche. Lrm occupa un posto centrale, mentre Les Républicains (centrodestra) e il Front National rivaleggiano per il dominio della destra, e la sinistra si divide tra un Ps male in arnese, il piccolo gruppo dell'ex candidato socialista Benoît Hamon e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Malgrado le attuali proteste sociali, Emmanuel Macron può ritenersi soddisfatto. Benché i due movimenti populisti, Front National e La France Insoumise, godano tuttora di un forte sostegno, per il momento non sono avversari credibili.

Ma il punto dolente — nonostante i brillanti discorsi e il frenetico attivismo del presidente francese — riguarda l'Europa. La sua idea di promuovere una sovranità europea a cinque dimensioni — la sicurezza, la crescita, le tutele a fronte della globalizzazione, lo sviluppo sostenibile e il digitale — non è decollata. E meno ancora le sue proposte di riforme istituzionali per l'Eurozona: budget comune, ministro dell'economia, parlamento. Macron si scontra con l'opposizione dei Paesi del Nord, e per ragioni diverse con quella dell'Europa centrale, ma anche con le tergiversazioni della Germania e la paralisi italiana. Senza contare che il suo stile irrita molti dirigenti, che lo vedono come una forma di arroganza francese: un presidente che cerca di proiettarsi come interlocutore unico degli europei nei rapporti coi grandi del mondo, a incominciare da Donald Trump. A livello europeo il bilancio è dunque mediocre. Il presidente non è riuscito ad arginare la diffidenza dei francesi verso l'Europa, al contrario. E un suo insuccesso europeo si ripercuoterebbe sulla Francia.

Per di più Macron deve affrontare altri seri problemi, due dei quali meritano di essere sottolineati. Per quanto attiene alle riforme, il suo metodo segue una solida tradizione francese, quella di uno Stato che cala tutto dall'alto — anche perché il presidente si è circondato soprattutto di alti funzionari, e segnatamente di ispettori delle finanze, l'élite delle élite amministrative; mentre non prende praticamente in considerazione le organizzazioni professionali, spesso considerate — e non a torto — come bastioni del conservatorismo. La pedagogia delle riforme non è però assicurata da Lrm, scarsamente radicata sul territorio e non molto attiva, e neppure dai parlamentari, generalmente poco esperti. Il lavoro spetta dunque al presidente, che rischia di esaurirvi le sue energie. C'è inoltre il pericolo di agitazioni delle diverse categorie, che sarebbe difficile fermare. Peraltro, sebbene la popolarità di Macron si mantenga relativamente elevata, a confronto con Sarkozy e Hollande a un anno dalla loro elezione, si incomincia a notare qualche preoccupante incrinatura. Non è più considerato « sia di sinistra che di destra » , ma sempre più un uomo di destra. Soprattutto i ceti popolari e meno istruiti e i giovani lo vedono come il presidente dei ricchi, lontano dalle preoccupazioni della gente comune. Di fatto, il 59% dei francesi non vorrebbe che si ripresentasse per un secondo mandato nel 2022.

È dunque un anniversario sottotono, quello che il presidente Macron celebra oggi. Gli restano quattro anni per portare avanti un'indispensabile azione di cambiamento in Francia e in Europa, superare gli ostacoli che si troverà davanti e chiarire le sue posizioni su temi sensibili, tra cui quello dell'Islam, evitando che la frammentazione sociale si aggravi ulteriormente in Francia. Un'impresa di vasta portata. E il presidente Macron lo sa perfettamente.

( Traduzione di Elisabetta Horvat)

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Marc Lazar